venerdì 5 dicembre 2014

Salone Internazionale dell'Automobile di Torino (8 novembre 1961)

 




La barriera dei bottoni divide inesorabilmente le vetture americane e quelle europee.   Sedendosi in una macchina di Detroit si può fare tutto allungando una mano e premendo questo o quel pulsante: i vetri si aprono e si chiudono, i sedili vengono avanti o indietro, si alzano o si abbassano, viene il freddo oppure il caldo, ruotano gli specchietti, escono le antenne, rientrano le capote.   Sulle macchine di Parigi, Torino o Stoccarda tutto questo deve essere fatto a mano, sporgendosi di qua o di là, tirando leve, girando manovelle, manovrando tiranti.  E' la civiltà dell'automatismo che si scontra con il tradizionalismo della vecchia Europa.
Si possono comprendere le obbiezioni degli appassionati automobilisti all'avvento dei cambi automatici e delle frizioni elettriche o magnetiche: il guidatore si sente menomato nelle sue prerogative di governo della vettura dalla presenza di questi cervelli autonomi.   Ma quando si tratta di leve e bottoni per manovrare vetri o sedili ogni conservatorismo sembra fuori luogo.   In questo caso, infatti, non è più in gioco il libero arbitrio dell'automobilista, ma la comodità e il minimo sforzo: una volta deciso di aprire il vetro meglio farlo spingendo un bottone anziché girando per dieci minuti una manovella.   Invece, stranamente, l'automatismo nei comandi degli accesori o dei servizi non riesce a superare la barriera dell'Atlantico.   Si invoca la questione dei costi, ma il problema non si esaurisce qui: è incomprensibile che si spendano ingenti somme nel rivestire di pelle l'interno di una vettura o nel montare radiogrammofoni perfezionati e non si senta il bisogno di dotare la vettura di comandi elettrici.   La questione dei prezzi esiste solo fino a vetture di classe media; quando il prezzo sale oltre la quota dei due milioni, l'assenza di tutti i possibili conforts diventa una lacuna inaccettabile.
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luigi costantini

 
 
Spiando i bambini che si "smarriscono" nei meandri del Salone si capiscono molte realtà non sempre positive per i genitori
 
 
 
Maria Letizia, Silvia, Toni, Anna, Maurizio: quante volte questi nomi, seguiti dal relativo cognome, li abbiamo sentiti ripetere dall'altoparlante del Salone perché tutti sapessero che in quel preciso istante, madri e padri in ansia li stavano ricercando per ogni dove...
Sia chiaro che, in quelle circostanze, chi è in ansia sono soltanto i padri e le madri dei bambini cosiddetti smarriti. Costoro - i cosiddetti smarriti - non solo sono calmi e tranquilli, ma nove volte su dieci l'hanno fatto apposta a perdersi per sottrarsi al controllo dei grandi e godere cinque minuti di libertà nel senso più lato della parola. Libertà, infatti, non solo della mano stretta nella mano, ma libertà di gusto, di scelta, di sosta... Già perché, nel bambino moderno, l'automobile non rappresenta più un sogno, una conquista, un segno di potere, ma soltanto una realtà acquisita, un diritto, un accessorio indispensabile della vita moderna, che è la sua vita, la vita della sua generazione, la vita del momento che vive.
Susanna, Maria, Adriano - che la voce allarmata dell'altoparlante si sforza di tranquillizzare il quanto ritenuti "dispersi" - in realtà si trovano in beata ammirazione di una vettura grossa e lucida che il papà, purtroppo, ancora non ha.
E a questo punto è d'obbligo una notazione spregiudicata sui motivi veri e autentici che determinano l'ansietà dei genitori dei bimbi dispersi. Perché - diciamolo francamente - lo smarrimento di un bimbo nei meandri del Salone non rappresenta affatto un dramma. E' solo questione di tempo e il bimbo viene rintracciato. Tutto qui. Il motivo vero e autentico dell'ansietà è dunque un altro: ed è proprio quello che il bimbo, libero di andare dove vuole, possa andare proprio in quegli stand ove sono esposte vetture da mille e una notte e che facciano impallidire il catorcio paterno. Di qui gli stentorei appelli radiofonici perché il bambino venga immediatamente catturato e messo nell'impossibilità di fare pericolosi confronti. Ma spesse volte è troppo tardi. Quando il "frugoletto" è rintracciato, a papà e mamma non resta che subire sguardi umilianti e ammonitori.
Osservate le foto; osservate quale fascino esercitino sui piccoli fuggiaschi le macchine "vere"; osservate la competenza e la decisione, lo spirito critico o il dileggio con cui questi "soldi di cacio" si avvicinano a quelli che i nostri nonni giudicavano dei mostri e delle creature di Satana!
Per molti di noi arrivare alla 600 è già un traguardo importante. Ma i nostri figli ci guardano storto perché hanno sempre un amichetto il cui padre possiede una 1100, una Giulietta, una maledettissima americana! E allora, sotto a sgobbare per far bella figura in famiglia... Quante volte si giudica male un onesto professionista che all'improvviso, si fa la fuoriserie o chissà quale cilindrata: i maligni pensano subito all'amichetta. E invece no. La colpa è tutta dei figli. Di questi piccoli, indispensabili ingredienti familiari che condizionano la nostra esistenza, le nostre esigenze, i nostri gusti anche in fatto di motorizzazione.
Guardateli ancora una volta in queste foto: avete mai visto simili espressioni sui volti, negli occhi dei vostri coetanei? Nelle menti acerbe di questi bambini è già ben radicata una convinzione che li rende più maturi di noi: papà non ce l'ha fatta, ma io l'avrò.....
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p.b.

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