sabato 26 luglio 2014

La Grande Fuga


Dal 1950 ad oggi un milione e trecentomila contadini esasperati per la esiguità del reddito e attratti dal miraggio della grande città, hanno abbandonato i campi.   Non soltanto nelle zone depresse, ma anche in Emilia e nel Chianti case coloniche vuote e poderi deserti testimoniano la gravità di un problema che occorre affrontare coraggiosamente





E' stato calcolato che ogni tre minuti, in media, un contadino volge le spalle alla campagna per dedicarsi ad altre attività. [...]  "Ancora dieci anni fa quella terra valeva più di venti milioni, oggi mi accontenterei di cinque, ma non c'è chi la voglia, tutti vanno via. Molti vanno a Torino [...] mezzadri, affittuari, coltivatori diretti.   Non c'è quasi più mano d'opera, i pochi che sono rimasti, son contesi a borsa nera. [...]"
"Nessuno più vuol fare il contadino, e hanno ragione.   Il contadino è sempre stato l'ultima ruota del carro, oggi non riesce neppure più a sposarsi.   Le donne di qui non li vogliono, e i contadini, se vogliono una donna, devono andarla a cercare nel Sud. [...]"
"[...] So io chi ci vorrebbe: Ferrero.   Venga Ferrero e tutti quanti gli diamo la terra."
Ferrero è quello di Alba, il dolciario.   Nelle Langhe acquistò terreni, facendo buoni affari, ché la gente non vedeva l'ora di liberarsene, tanto più che c'era la prospettiva di essere poi assunti in ditta.   Poté così fare grandi piantagioni di noccioleti, che servono per la produzione delle proprie specialità. [...]
"[...] Teoricamente la buona terra (e qui -in Romagna- la terra è buona) ha prezzi varianti fra le cinquecentomila lire e i due milioni per ettaro: qui però si vende a cinquantamila e anche meno.   Non ci sono più contadini, questa è la verità.   Al contadino tante gliene han fatte, che è morto.   Morto dentro, come contadino.   Al suo posto c'è un operaio, un uomo nuovo, che ragiona in termini di salario, che corre ogni settimana, al massimo ogni quindicina, ed è sicuro piova, tempesti o faccia sole.   Non c'è più chi accetti il rischio di lavorare per niente (quando una qualsiasi avversità distrugge il raccolto), anche se tale rischio è compensato dalla cosiddetta maggior libertà dei campi, che poi non esiste, ché se l'operaio è legato otto ore, il contadino lo è sempre, anche la domenica.   Si devono considerare tanti fattori, ma la causa principale è questa: la ricerca di un salario, come si ha nella fabbrica, che ha il vantaggio di essere in città, dove uno può divertirsi dopo il lavoro, e dove ci sono scuole per i figli, che si vuole che studino, perché si è capito che sapere è potere".
[...] Vigeva nelle campagne l'economia dell'autoconsumo, che non richiede denaro, non richiede scambi, e nella quale la terra è la fabbrica che dà tutto a gente che non ha da appagare altri bisogni oltre quelli elementari.   La seconda guerra mondiale e il resto hanno segnato la fine, anche nelle campagne, di questa economia.   Si è fatta sentire l'esistenza di denaro, per procurarsi quei beni, che sono ormai di uso comune in città, e dei quali si sente la necessità anche in campagna, ora che la città -con la motorizzazione, la radio, la TV, i giornali, il turismo- è arrivata anche lì.   Perciò non si deve più produrre di tutto un po', ma ci vuol specializzazione, ed è fondamentale ridurre i costi di produzione.
"[...] Li hanno uccisi nell'anima, e ora non vedono che la città.   E se anche gli va male, non tornano, per salvare la faccia." [....] "Non ci stan più neanche se li leghi.   Ora son le donne che comandano, ché la famiglia patriarcale è andata a farsi benedire.   Ogni famiglia fa da sé, e i bisogni aumentano, e la terra non basta più, specie se son mezzadri, che devono dividere col padrone."
[...]
Dario Paccino
("L'illustrazione Italiana" - ottobre 1961)
 

Nessun commento:

Posta un commento